Gli antichi mulini ad acqua
Nella zona a ridosso di Sant’Arsenio, appena sorge il torrente Secchio, troviamo un mulino perfettamente conservato e funzionante.
Dall’altra parte del paese, lungo il torrente Setone, scopriamo diversi mulini edificati dopo che nel 1808 i sanpetresi ottennero un Regio Decreto del re di Napoli Gioacchino Murat, con il quale veniva autorizzata la costruzione del mulino Mangieri, quello di cui si possono osservare i ruderi nella parte alta del vallone. Questa richiesta fu conseguenza della distruzione dell’abitato, soprattutto nella zona del Secchio, avvenuta nel 1806 ad opera delle truppe francesi di Massena. Anche gli altri mulini posti più a valle del primo, tra cui quello anticamente gestito dalla famiglia D’Andrea risalgono a quest’epoca, tutti realizzati sui versanti del vallone solcato dal torrente Setone che ha dato il nome a quest’area.
La presenza di mulini ad acqua fa del luogo un sito rilevante nell’ambito dell’archeologia idraulica.
La natura accidentata dei due versanti montani che si fronteggiano, formando un profondo vallone, impose la realizzazione di ardite costruzioni delle opere idrauliche destinate alla canalizzazione e all’accumulo dell’acqua.
L’acqua, captata a monte del mulino direttamente nel torrente, indirizzata attraverso una condotta orizzontale nel bacino di raccolta, da questo viene convogliata in un’imponente corpo in pietra verticale o inclinato denominato “torre”. Il dislivello di svariati metri esistente tra il punto di captazione nel torrente e quello di uscita alla base della “torre” fanno fuoriuscire impetuosamente l’acqua, che aziona così una ruota orizzontale a pale collegata alla macina. Per ottenere la farina si versa il grano nella tramoggia in legno posta al di sopra della macina che ruota su quella fissa sottostante, polverizzando il grano in farina.
Spesso la miseria imponeva la necessità di macinare altri prodotti, tra cui soprattutto il granturco col quale si faceva il cosiddetto “pane giallo”, meno soffice rispetto al pane di grano. Durante la guerra o nei periodi di grande carestia c’era anche chi era costretto a mangiare pane di altri cereali, di legumi, di castagne o addirittura di ghiande.